Tara, la sorella e il fratello sono nati in una famiglia di mormoni anarco-survivalisti delle montagne dell’Idaho. Non sono stati registrati all’anagrafe, non sono mai andati a scuola, non hanno mai visto un dottore. Sono cresciuti senza libri, senza sapere cosa succede all’esterno o cosa sia successo in passato. Fin da piccolissimi hanno aiutato i genitori nei loro lavori: d’estate, stufare le erbe per la madre ostetrica e guaritrice; d’inverno, lavorare nella discarica del padre, per recuperare metalli. Fino a diciassette anni Tara non ha idea di cosa sia l’Olocausto o l’attacco alle Torri gemelle. Con la sua famiglia, si prepara alla prossima fine del mondo, accumulando lattine di pesche sciroppate e dormendo con il sacco d’emergenza sempre a portata di mano. Il clima in casa è spesso pesante. Il padre è un uomo dostoevskiano, carismatico quanto folle e incosciente, fino a diventare pericoloso. Il fratello è chiaramente disturbato e diventa violento con le sorelle. La madre cerca di aiutarla ma rimane fedele alle sue credenze e alla sottomissione femminile prescritta. Poi Tara fa una scoperta: l’educazione. La possibilità di emanciparsi, di vivere una vita diversa, di diventare una persona diversa. Una rivelazione. Il racconto di una lotta per l’auto-invenzione. Una storia di feroci lealtà famigliari e del dispiacere che viene nel recidere i legami più stretti. Tara Westover dimostra una capacità di penetrazione che distingue i grandi scrittori. Ha creato una storia universale di formazione che mira al cuore di ciò che l’educazione ha da offrire: la prospettiva di vedere la propria vita con occhi nuovi e la volontà di cambiarla.
Recensione
Tara Westover è nata nel 1986 in Idaho, Stati Uniti. Dopo una laurea alla Brigham Young University è stata borsista all’Università di Cambridge dove ha conseguito il suo phd in Storia. Fino a qui tutto bene.
Quello che bisogna aggiungere però, a questa sintetica e brillante biografia, è che Tara non ha avuto quell’infanzia mediamente normale che ci si può aspettare da una trentaduenne con le caratteristiche e i successi scolastici sopra elencati.
Quinta figlia all’interno di una numerosissima famiglia mormona, Tara cresce sulle montagne dell’Idaho. Non frequenta la scuola, non guarda la televisione, non ha mai visto un dottore e riceve il suo certificato di nascita solo dopo anni e con immense difficoltà (perché nessuno dei suoi genitori ricorda esattamente l’anno della sua nascita).
Nel tempo libero aiuta il padre a cercare rottami da rivendere nella discarica dietro casa o realizza sottospecie di pozioni cuocendo erbe e piante medicamentose. Le stesse con cui, a casa sua, curano tutto, dai mal di pancia, alle emicrania, fino ad arrivare alle ustioni e ai postumi di un incidente stradale.
Sembra un mondo parallelo. Mentre leggevo, seduta al fresco del balcone, nella mia camera di, ancora per poco, giovane studentessa/lavoratrice amata, coccolata e protetta dalla sua famiglia, mi sono sentita catapultata in una realtà aliena e allucinante, nella quale tutte le certezze e le normalità a cui, da sempre, sono stata abituata, vengono messe in discussione.
Il problema è proprio questo. Non è che sembra, ma è un mondo parallelo. Tara non è una brillante dottoranda (ormai dottoressa) che nel tempo libero ha scritto uno splendido e toccante romanzo. Tara è la protagonista del suo libro, il quale racconta, per filo e per segno, quello che realmente è successo. Non nell’800. Non in un paese del terzo mondo. Ma negli anni duemila ad una donna che ha qualche anno più di me.
Dico queste cose perché, ogni tanto, mentre procedevo con la lettura avevo bisogno di ricordarmi tutto questo, perché molte, moltissime delle cose che ho letto, non mi sembravano vere.
Nella prima parte del libro Tara racconta, con una modalità simile a quella di un cronista, la storia della sua vita all’interno della sua famiglia. Il rapporto con e tra i suoi genitori, il ruolo e i tentativi dei nonni di inserirsi, quanto meno marginalmente, nell’educazione dei nipoti, qualcosa riguardo ai suoi fratelli ed una serie di aneddoti disparati relativi ad argomenti vari, con un’accuratezza della quale a volte, evidenzia lei stessa, non è sicurissima.
Mi sono immaginata come possa sentirsi una persona che rivive a freddo, davanti ad un pezzo di carta o ad un pc, la storia della sua vita, il proprio doloroso passato che non è remoto nemmeno per sbaglio, ma è vicino e per molti versi ancora aperto, quanta confusione e spaesamento possa trovarsi a vivere. Penso tanto. Ed è qui che ho capito la prima, banale ma non scontata, cosa che riguarda Tara: è una persona coraggiosa. Ma non solo perché dall’età di cinque anni non ha avuto paura di ravanare tra i rottami tagliuzzandosi le gambe e rischiando il tetano come se fosse una cosa normale. E nemmeno perché è riuscita a tollerare le angherie di un padre bipolare e di un fratello altrettanto problematico senza mai ribellarsi.
Ma perché per guardare da fuori la propria storia e parlarne con altri bisogna essere persone speciali.
E tutto l’essere speciale di Tara emerge a pieno nella seconda parte del romanzo, quando, dopo aver raccontato la sua vita prima, l’autrice passa a parlare del dopo. Quel dopo che si realizza nel momento in cui Tara capisce che, giù dalla montagna sulla quale è confinata c’è altro. Ci sono numeri, formule, nozioni, poesie. Ci sono libri da leggere e storie che non conosce. Oltre i deliri complottisti di suo papà e le pozioni di sua mamma c’è il mondo.
Tara fa fatica ad entrarci. Non solo perché la sua famiglia la ostacola, seppur in maniera indiretta, attraverso una serie di azioni che hanno un peso psicologico sulle sue scelte. Ma anche perché, lei stessa, non ha la consapevolezza, non avendo mai avuto termini di paragone, di quello che sa e che può fare.
Anche in questa storia, come in tante altre prima, ci sono delle figure esterne che cercano di aiutare, c’è un prete che offre sostegno materiale, un insegnante che consiglia, figure che riescono a supportarla nell’intento di portare a termine il percorso. Un percorso che Tara fa fatica a sentire come suo, e che spesso prova a mettere in dubbio, per paura.
Il coraggio di Tara per me è questo. Capire che qualcosa non funziona, non va bene o semplicemente non fa per noi e metterlo in discussione, anche se ci arriva dalla nostra famiglia, dal posto in cui siamo nati, da chi ci ha cresciuto e ci ha dato la vita. Provare per anni ad accettare di essere diversi, e poi lottare contro il senso di colpa che si prova, cercando disperatamente delle giustificazioni per sentirsi a posto. Fino al giorno in cui, finalmente, capisci che è giusto quello che hai scelto, perché dall’altra parte, semplicemente, ci sono cose che non ti possono appartenere. La frattura, di cui Tara racconta, che avviene ad un certo punto, è il segno tangibile del suo cambiamento, avvenuto sì per una sua precisa indole che da quando aveva sedici anni le faceva sembrare tante cose strane, ma, come è lei stessa ad ammettere sul finale, senza l’educazione, così importante da essere il titolo di questo racconto autobiografico, come avrebbe fatto Tara a trovare la base di appoggio per il suo cambiamento? È l’educazione, l’istruzione, la conoscenza il potente motore che guida questa giovane verso la totale consapevolezza che per continuare deve necessariamente tagliare con tutto quello che ha sempre chiamato casa.
E allora questa è una storia di distacco ed emancipazione, come ce ne sono tante, certo, ma che ha in più la caratteristica di essere assurdamente attuale. Io da piccola e semplice lettrice nata all’inizio degli anni novanta, ho deciso di leggere questo romanzo perché il pensiero che una mia quasi coetanea, in un paese degli Stati Uniti d’America possa aver avuto una vita così diversa dalla mia, non mi vergogno a dirlo, mi ha in parte sconvolto. Genitori che non sanno la tua data di nascita, fratelli minorenni che lavorano in discarica, gravi ferite curate con la lavanda, sono tutti elementi che di primo impatto mi fanno pensare a qualcosa di lontano. Qualcosa ambientato in un secolo passato o, per lo meno, in un paese lontano dove non esiste tecnologia e progresso. E con queste parole non voglio dire che sia meno grave quando accade in contesti di questo tipo, ma semplicemente che non ti immagini, se ti imbatti in una professoressa universitaria trentenne che possa essere arrivata lì partendo da una discarica incrostata.
Il racconto di Tara, attraverso una narrazione scorrevole ed una scrittura ben equilibrata, mi ha regalato l’emozione di incontrare una storia assurda dei nostri giorni, aiutandomi a ricordare che niente è scontato, che c’è un valore intrinseco nel privilegio di leggere, scrivere, studiare che spesso dimentichiamo e che è invece gran parte, se non il fondamento di quello che siamo.
La citazione che ho amato
“Non avrei saputo esprimere queste cose, non mentre sudavo dentro la ruspa in quei pomeriggi cocenti. Non avevo la capacità di linguaggio che ho adesso. Ma capii una cosa: che se mi avevano chiamato Negra un miliardo di volte e avevo riso, adesso non potevo più ridere. La parola e il modo in cui Shawn la usava non erano cambiati; solo le mie orecchie erano diverse. Non sentivano uno scherzo. Quello che sentivano era un avvertimento, un richiamo che veniva da lontano, e che riceveva una risposta sempre più convinta: non avrei mai più accettato di essere un soldato in una guerra che non capivo”.
TITOLO: L’educazione
AUTORE: Tara Westover
TRADUZIONE: Silvia Rota Sperti
CASA EDITRICE: Feltrinelli
ANNO: 2018
PAGINE: 371
PREZZO: 18 €