Lagos, fino al 1991 capitale della Nigeria, è oggi considerata la città più grande dell’Africa, con una densità di popolazione che supera i sedici milioni di abitanti. Sotto il sole cocente, a poche latitudini dall’equatore, svettanti grattacieli e fatiscenti bidonville si alternano nel brulicare di una metropoli che non è mai ferma.
Cuore pulsante di questa parte di mondo che chiamiamo Africa, sempre un po’ troppo lontana e sconosciuta per interessarci fino in fondo, la città di Lagos è caratterizzata dalla coesistenza di due realtà agli antipodi: da una parte un’élite di pochi ricchissimi privilegiati, che si spostano su eleganti macchine dai vetri oscurati, guidate da autisti in giacca e cravatta; dall’altra, uno stuolo di gente comune, la quale sopravvive aggrappandosi alla speranza di un miglioramento che, a conti fatti, non arriva mai.
Ma come è possibile? Come è potuto accadere che un paese, tra i più ricchi del mondo per la presenza di materie prime dal valore inestimabile, si sia ridotto a far si che la maggior parte della popolazione che lo abita patisca i dolori e le difficoltà dell’esistenza, in uno stato di povertà estrema? Per quanto non tutti siano ridotti a livelli così catastrofici (teniamo conto che in sociologia il termine povertà estrema o assoluta indica una condizione di sopravvivenza all’interno della quale l’individuo vive con meno di 1,60 euro al giorno!), la presenza di un alto tasso di persone che vivono in condizioni di povertà relativa non fa che avvalorare la tesi che pone la Nigeria nei primi posti delle classifiche sulla povertà mondiale, nonostante abbia un prodotto interno lordo tra i più alti dell’Africa. Le motivazioni che gli studiosi si sono dati per questa situazione, sono legate prevalentemente a due problematiche: da un lato, la crescita demografica che imperversa senza freni e che ha portato, nel giro di pochi anni, la Nigeria ad essere la terza nazione più popolosa al mondo. L’aumento di popolazione è così rapido e continuo che si potrebbe dire cresca più velocemente la popolazione dell’economia stessa della nazione! Dall’altro lato la mancanza di controllo e sicurezza sociale rappresentano un elemento che incide sulle condizioni economiche; è evidente che la presenza di una situazione politica complessa, la cui stabilità è costantemente minacciata da gruppi terroristici che imperversano senza un controllo, risulti essere un elemento di forte disturbo per uno sviluppo economico crescente ed omogeneo.
Di questo e di tanto altro Chibundu Onuzo, giovane autrice nigeriana attualmente studentessa a Londra, prova a parlarci nel suo romanzo da poco uscito in Italia per la casa editrice Fandango Libri.
“La figlia del Re Ragno”, che l’autrice ha iniziato a scrivere all’età di diciassette anni, porta con sé una serie di episodi e momenti, frammenti di conversazioni e pezzi di storie, che si legano indissolubilmente al contesto, una dimensione concreta e realmente esistente nel mondo, che viene qui velatamente richiamata, in una maniera che, per quanto non appesantisca il lettore con nozioni socio-economiche poco adatte al flusso della narrazione, richiama costantemente la difficoltà, il dolore e la disperazione che questo incolmabile divario genera.
Un mondo quello nigeriano, completamente intriso di disparità, disuguaglianza e ingiustizia, forti elementi che sono in grado con la loro presenza ingombrante di rendere la vita di tante persone un inferno.
Senza dubbio questo aspetto ha catturato la mia attenzione più di altri. Ho apprezzato molto che, nonostante la volontà della giovane scrittrice sia quella di raccontare una storia d’amore tra i due protagonisti, adolescenti ancora alla ricerca del proprio posto nel mondo, ci sia stato comunque spazio e tempo per dialoghi e momenti capaci di riportare su carta emozioni e situazioni complesse, in grado di portarci con la mente ed il cuore ad una realtà difficile da immaginare, dolorosa da raccontare, impossibile da vivere ma necessaria da conoscere.